L’emergenza non è ancora finita: bisogna fare più in fretta possibile per togliere dal terreno almeno due milioni di alberi, che la tempesta Vaia ha schiantato a fine ottobre dell’anno scorso. Da giugno dell’anno prossimo le segherie non li vorranno più. Ma tanti stanno già pensando al dopo, a come tornare al bosco laddove il bosco non c’è più.
È il momento del confronto. Le decisioni non sono state ancora prese, ma si delineano due fronti molto distinti, se non contrapposti: uno che punta sull’azione riparatrice dell’uomo, l’altro che lascia campo libero alla natura. Lo si percepisce bene alla “Fiera e Festival delle foreste”, l’evento che si è tenuto sabato 14 e domenica 15 settembre a Longarone.
Per terra 4 milioni di alberi. La questione non è solo tecnica e neppure riguarda solo proprietari di boschi, falegnami o agronomi. È una questione di cura dell’ambiente, di quella Casa comune che, in tante parti del Veneto (e non solo) ha subito un trauma pesante quando venti a 150 all’ora hanno divelto quasi 9 milioni di metri cubi di alberi, più o meno 4 milioni di piante.
«Dobbiamo fare in modo che dall’esperienza di Vaia nascano idee e progetti da attuare, che permettano al Veneto di sopportare meglio eventi di questo tipo in futuro»: lo dice Alberto Negro, commissario straordinario di Veneto Agricoltura. L’ente della Regione è il più grande gestore di foreste in Veneto: 14mila ettari, tra cui tutta l’area del Cansiglio, quella veronese di Giazza, la sinistra e destra Piave…
«Stiamo cercando di capire, raccogliendo e analizzando dati – spiega l’ing. Negro – come si è comportato il bosco, in occasione di Vaia, sia per quanto riguarda l’acqua che il vento. Questo per rispondere a una domanda: quando decideremo di ripiantare i boschi, come dobbiamo farlo? Dobbiamo capire quali sono le piante più adatte per le condizioni che ci saranno fra 50 anni. Dobbiamo pensare alla resilienza degli alberi, ai cambiamenti climatici, alle temperature che ci saranno fra mezzo secolo… In parte il bosco farà la sua strada, perché non riusciremo a coprire tutte le aree colpite da Vaia con piante messe a dimora dall’uomo: una gran parte della ricrescita sarà naturale. Ma dove l’uomo interverrà dobbiamo pensare al futuro».
Cansiglio “ripulito” entro Natale. Perciò Veneto Agricoltura utilizzerà l’area di sua competenza colpita da Vaia per testare: «Il rimboschimento artificiale, in tutto il Veneto, inizierà fra 3-4 anni. Ma nelle aree che gestiamo noi, come il Cansiglio, vogliamo partire subito e mostrare come le cose possono essere fatte al meglio. La raccolta di tutte le piante cadute – 30mila metri cubi a causa di Vaia più 10mila schiantati dalla neve di primavera – la terminiamo entro la fine di quest’anno. Siamo già all’80% della raccolta; e l’anno prossimo cominceremo a piantare, anche se il lavoro più importante sarà fra qualche anno».
In questo momento è aperto un tavolo di lavoro tra università di Padova, Veneto Agricoltura e Regione: «Le decisioni sui criteri del rimboschimento – prosegue il commissario Negro – non sono ancora state prese. L’unica decisione presa è utilizzare tutti i semi che abbiamo trovato disponibili per i nostri vivai, per seminare piante da bosco per il futuro. Ma da quando si semina a quando si avrà una pianta pronta per essere messa a dimora nel bosco, passano dai tre ai quattro anni».
Per questo, prosegue Negro, «abbiamo un’attività vivaistica con il marchio “Pianta nativa”, che identifica una filiera certificata di piante autoctone del Veneto. Queste piante noi le facciamo crescere fino a una minima dimensione, per poi darle al vivaio che provvederà a metterle a dimora nei boschi».
«Ripiantumazione? Se dipende da me mai, assolutamente mai». Silvano Eicher la pensa in maniera radicalmente diversa. Da trent’anni è presidente del consorzio Visdende, che riunisce le quattro Regole del Comune di San Pietro.
Il danno prodotto da Vaia in Val Visdende è grande: 220mila metri cubi di piante abbattute dal vento. In certe aree si è oggi di fronte a una sorta di camposanto, dove i cippi sono… ceppi. C’erano perlopiù abeti rossi, molto pregiati, alcuni anche di 3-400 anni. Delle torri alte anche 53 metri, di valore economico altissimo. Il venerdì precedente la tempesta c’era stata un’asta: gli abeti erano stati venduti a 147 euro al metro cubo, più del doppio di un abete comune. Per cui le tavole sarebbero costate 1400 euro al metro cubo. Ma tavole senza un nodo, il “nettarello”.
Poi è arrivata Vaia e il valore di vendita degli alberi caduti è crollato: si è arrivati anche a un decimo di quello dell’asta.
Sia la natura a guidare la rinascita. Ma Eicher, più ancora che per il danno economico, è intristito per quello splendore che non c’è più: «A settembre si andava nei boschi a segnare le piante da abbattere. Una meraviglia. E c’erano quelle piante monumentali, bellissime. L’anno scorso sono venuto a togliere una pianta secca: tirandola, ho un po’ rovinato il bosco; sono venuto il giorno dopo con il rastrello e avevo tirato tutto alla perfezione. Poi è arrivata Vaia…». Da piangere.
Ed è forse proprio per il legame affettivo, per la passione verso quel bosco, che il presidente delle Regole non vuole sentire parlare di ricostruzione artificiale del bosco: «Se c’è qualche speranza – dice – che i miei nipoti possano vedere di nuovo il bosco, dev’essere la natura ad arrangiarsi da sola e ridarglielo. In Austria ripiantano artificialmente i boschi e dopo 50 anni li tagliano, ma ne esce un legname che ha una qualità molto inferiore alla nostra. Dev’essere la natura, invece, che fa il suo corso. Quindi in Val Visdende non faremo nulla. Poi, se il Padreterno mi darà ancora vent’anni di vita, spero di vedere tutto tornato verde e le piante che ricrescono. Saranno piccoli abeti, che cresceranno fitti, e noi faremo l’intervento per diradarli. Ma sarà la natura a guidare il tutto».
Giorgio Malavasi