Tra il centro pastorale di Zelarino, dove ha potuto incontrare tutti i Vescovi del Triveneto, e la laguna di Venezia, impegnato poi a San Marco per partecipare alla commemorazione del Cardinale Urbani a 50 anni dalla morte, martedì 17 abbiamo avvicinato e intervistato il Cardinale Gualtiero Bassetti, 77enne toscano, da un decennio arcivescovo metropolita di Perugia-Città della Pieve e da un paio d’anni anche presidente della Conferenza Episcopale Italiana su nomina di Papa Francesco.
Eminenza, con il Veneto e il Triveneto ha legami o ricordi particolari?
Ricordo che ai tempi del terremoto del Friuli sono venuto spesso, per due anni, con i seminaristi (ero rettore a Firenze) e con la Caritas. Abbiamo fatto anche dei campiscuola per portare un po’ di assistenza ad una terra in quel momento ferita e con cui si è creato un legame profondo. Come presidente della Cei ho avuto poi l’occasione di visitare diverse Diocesi. E nella mia storia personale, inoltre, sono stati importanti due vescovi triveneti giunti a Firenze: il cardinale Dalla Costa, con lui ho fatto la vestizione, e poi il cardinale Florit. I legami con il Triveneto, da parte mia, sono molto forti. E poi penso sempre che il Nordest è una delle grandi porte d’ingresso per l’Europa.
Che idea si è fatto di quest’area del nostro Paese, della Chiesa e della società del Triveneto?
Noi stiamo vivendo un processo di secolarizzazione che abbraccia tutti, anche il mondo giovanile, come è dimostrato dal calo di vocazioni che si sente anche da queste parti. Ma qui, per quanto posso conoscere, sono rimasti molti valori del cristianesimo, come il senso di solidarietà e del volontariato. È una terra che risente della scristianizzazione, ma si vedono ancora i frutti di una presenza cristiana che ha inciso.
In questo contesto, profondamente mutato, è richiesta una nuova forma di “presenza” della Chiesa? Altre modalità e attenzioni?
Come dice il Papa nell’Evangelii gaudium, la preoccupazione primaria è sempre quella di annunciare il Vangelo. Se si prescinde dal Vangelo, non ci può essere vita buona. La vita è resa buona dal Vangelo, dalla Parola di Dio. Poi bisogna liberarsi di tante forme, di una mentalità clericale. Noi sacerdoti e vescovi siamo portati ad assumerci tante responsabilità, ma le responsabilità vanno condivise. Bisogna, quindi, formare dei laici che siano responsabili nella Chiesa. E rispettarli. Oggi la grande sfida è – accanto a favorire le vocazioni – la formazione di un laicato maturo, responsabile e non clericale. Noi preti, come ripete spesso il Papa, abbiamo il vizio di comunicare anche la nostra mentalità che nasce dall’avere un potere, quando si identifica il potere con il servizio; noi dobbiamo avere una mentalità piena di pastori, di servizio e non di potere, da trasmettere ai laici affinché si comportino allo stesso modo, perché sono poi loro ad arrivare in tutti i settori della società.
Scade in questi giorni il cosiddetto “ultimatum” della Consulta al Parlamento sul fine vita. Si attende ora che succeda qualcosa di significativo al riguardo?
Mi aspetto intanto che intervenga il Parlamento, se possibile prima, e che ad un certo momento si abbia chiara l’idea che la vita non può essere messa sullo stesso piano della morte. La vita è qualcosa di assolutamente unico e irripetibile, ha la sorgente in Dio e va costantemente accompagnata, tanto più che oggi ci sono mezzi e cure per lenire il dolore e la sofferenza (ne parlava già Pio XII negli anni Cinquanta). Bisogna stare vicini e oggi, invece, si tende a “scartare”. Bisogna avere rispetto della vita, dall’inizio fino alla fine, e non identificare mai con l’accanimento terapeutico il dare da mangiare e da bere a chi è in stato terminale.
La politica, la vita sociale: anche senza entrare nelle vicende “agitate” di questo periodo, quale contributo è comunque chiamato a dare un cattolico oggi?
Sono convinto che, alla base di tutto, ci sia ancora la lettera a Diogneto. I cristiani, nel mondo, sono uguali a tutti gli altri: hanno le stesse esigenze, gli stessi diritti e gli stessi doveri. Ma hanno una marcia in più, l’anima del mondo. Un cristiano oggi deve entrare nelle realtà terrene e animarle dal di dentro. Animare con spirito cristiano la politica e qualunque altra situazione della vita.
Un’ultima cosa… È dura fare il presidente della Cei?
È un po’ faticoso, soprattutto per uno che si avvicina ai 78 anni… Ma mi è stato chiesto, questo servizio, dal Papa e dai Vescovi. E, finché sono sopportato, continuo!
Alessandro Polet