Il tempo trascorso tra le diverse attività parrocchiali da un lato, il percorso accademico dall’altro. Sono i due perni attorno ai quali ruotava la vita di don Riccardo Redigolo, 31 anni, della parrocchia di San Giovanni Battista di Jesolo Paese, prima dell’ingresso in seminario.
Una vocazione, la sua, nata nella consapevolezza di stringere fra le mani tutto – un lavoro appagante come architetto esercitato per tre anni, collaborando alla progettazione delle torri di Jesolo e di villaggi turistici anche al Cavallino, e un fidanzamento che sembrava prospettare un matrimonio – a parte la vera risposta alle domande fondamentali che il cuore gli suggeriva. E sono stati proprio quegli interrogativi ad innescare in lui la scintilla – tuttavia non subito l’idea di voler diventare sacerdote –, uniti alla vicinanza della famiglia che ha compreso il suo momento di crisi dopo essersi lasciato con la ragazza e ad alcuni incontri con sacerdoti e amici veri.
Fra questi, quello con don Morris Pasian, anche lui di Jesolo, con il quale don Riccardo ha condiviso l’età dell’adolescenza. Quand’è stato ordinato ricorda ancora quanto l’abbiano colpito la sua gioia negli occhi e la frase “fidati come sto facendo io, lasciati andare”. E accanto a tutto questo, anche quelle occasioni che il Signore non ha smesso di porgli davanti. «Avvenimenti semplici – dice – ma piccole luci che mi dicevano di non farmi abbagliare da qualcos’altro».
«Ho ricevuto tanto, ora voglio restituire». A distanza di sette anni dalla sua scelta di vita, don Riccardo sente di avere un’esigenza particolare:«Guardando indietro agli anni vissuti in parrocchia, dico sempre al Signore che ho ricevuto fin troppo. E tutto ciò che gratuitamente ho ricevuto, ora sento il desiderio di doverlo ridare, restituire». Gli anni del seminario, specialmente i primi, non sono stati semplici. Ma come gli diceva il suo parroco “getta le tue reti e fatti pescatore di uomini”, don Riccardo si è fidato, esattamente come Pietro. «Dover cambiare vita, intraprendere nuovi studi e rinunciare all’autonomia che avevo è stato difficile, ma in fondo ciò che costa fatica ti fa gustare il traguardo. Ringrazio i superiori attuali e precedenti che hanno guidato noi seminaristi, avendo la pazienza di accoglierci com’eravamo. In questi anni ho imparato che sarebbe da ipocriti nascondere i doni che ciascuno ha, l’importante è che essi non siano soltanto nostri ma frutto anche per qualcun altro».
Al termine di questo percorso fatto di tanti aneddoti, risate e scherzi fra amici oltre a qualche pianto ma ad altrettante soddisfazioni e ad una collaborazione parrocchiale a Gambarare, lasciare il “nido” dispiace ma è doveroso per imparare a spiccare il volo.
«Vorrei testimoniare la bellezza della vocazione». «Oggi fare il prete non è facile, ma come d’altronde non lo è nemmeno essere un buon padre o una buona madre», aggiunge, sottolineando l’importanza di testimoniare la bellezza della vocazione. «In Seminario ci sta tutto, con i suoi ritmi e con i suoi tempi: la preghiera, lo studio e la vita comunitaria che ti forma e ti plasma. Non abbiate paura di entrarvi, perché la vita del prete è variopinta. E ai giovani dico: sognate con Dio».
Certo, ciò che accadrà dopo l’ordinazione non è ancora dato a sapersi ma don Riccardo è sereno. «Questa è la parola che mi permette di dire vado all’ordinazione con altri tre amici e fratelli, nella speranza che qualsiasi cosa mi chieda il Signore attraverso il Patriarca io riesca a farla nel miglior modo possibile. E qualunque sia il nostro ministero, testimoniare la bellezza in Cristo penso sia l’aspetto più importante».
Marta Gasparon