Il velo o la vita. Lo mettono in bocca a molti padri musulmani le cronache italiane di questi giorni. La schema è sempre lo stesso. La figlia adolescente rifiuta di coprire volto o capelli prima di uscire di casa. E scatta la punizione.
Qui i capi famiglia sembrano fare a gara a chi impartirà la lezione più traumatica alla teenager ribelle occidentalizzata. C’è chi picchia, chi reclude in casa, chi minaccia di morte, chi rade a zero quei capelli colpevoli di non essere avvolti nell’hijab. Il problema non è il velo.
Il problema è l’anaffettività genitoriale. La pretesa di mettere al mondo delle proprietà. Il frapporsi alla libertà del figlio con frustrazioni e aspirazioni represse. E questo può avvenire in qualsiasi luogo, in qualsiasi cultura, in qualsiasi religione. L’universalità del femminicidio e dell’abuso tra le mura domestiche ne sono la prova.
Il velo, la religione, il decoro culturale, il possesso familiare: sono spesso usati dai violenti come pretesto per giustificare la violenza. E quando la violenza è usata in nome di Dio diventa una bestemmia, in qualsiasi confessione. Abbiamo bestemmiato da cristiani nelle crociate e bestemmiano da musulmani i padri che pretendono figlie velate a suon di botte.
Giulia Busetto