La Brexit avrà un costo. Anche per noi. L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea non sarà indolore per nessuno. Nemmeno per le province venete più attive nell’export commerciale proprio con il Regno Unito. Degli effetti della Brexit, sull’Italia e anche sul Veneto, parlerà lunedì 6 maggio il prof. Ignazio Cabras, docente alla Northumbria University Newcastle, alla Fondazione Marcianum, nell’ambito della conferenza intitolata “Dal «Club del Coccodrillo» alla «Brexit». Quale futuro per l’Europa?” (vedi box accanto). «Che sia più o meno soft, più o meno favorevole allo scambio delle merci, in ogni caso la Brexit avrà degli effetti negativi sul Pil britannico. Ma anche sulle esportazioni degli altri paesi e, a cascata, sulla loro economia», esordisce il prof. Cabras raggiunto al telefono da GV. Quando uscirà? I punti di domanda, al momento, sono numerosi. A cominciare dalla data di uscita. «Dopo gli ultimi rinvii – ricorda il professore – si parla ora del 31 ottobre. Anche se non mi sorprenderebbe che l’uscita venisse posticipata ulteriormente. Il problema è il come. Non sappiamo ancora quali saranno i termini dell’uscita», osserva il docente. Tutto infatti si giocherà sulle modalità dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. «Ricordiamoci che il referendum indetto nel 2015 e celebrato nel 2016 non fu accompagnato da alcun piano generale di uscita», sottolinea il prof. Cabras. Significa che le modalità di uscita erano tutte da scrivere. E l’ipotesi di accordo siglata dal Premier Theresa May con Jean-Claude Juncker (Presidente della Commissione europea) e Donald Tusk (Presidente del Cosiglio Europeo) non ha ancora ottenuto la ratifica parlamentare: è anche per questo che la data del “leave” si è via via allontanata.
Scambi commerciali a ostacoli. Gli effetti, in ogni caso, si vedranno nell’immediato soprattutto nell’ambito degli scambi commerciali. «Riguarderanno in particolare quei paesi che, per ragioni geografiche e non solo, hanno dimensioni di scambio con la Gran Bretagna più ampie. Penso a Francia, Germania e Olanda, che soffriranno più di Paesi come Italia, Spagna o Grecia». Ma non per questo l’Italia resterà immune dalle conseguenze della Brexit. Se passerà la linea più dura dell’uscita, la Gran Bretagna non farà più parte del Mercato unico europeo e questo significherà una serie di passaggi, controlli e, probabilmente, anche dazi che oggi non sono previsti. «Faccio un esempio. Se oggi un’azienda britannica importa un prodotto dalla Cina, effettua una serie di controlli in entrata che sono validi per tutto il territorio europeo. Significa che se poi quel prodotto viene rivenduto in un paese dell’Ue, non dovrà essere sottoposto a ulteriori controlli, ma potrà circolare liberamente. Perché già verificato a monte. Ma se la Gran Bretagna uscirà dal mercato, quel prodotto cinese, per entrare in Unione Europea attraverso il Regno Unito, dovrà subire un doppio controllo, con aggravio di tempi e di costi. Ovviamente nessuna azienda cinese che vorrà commerciare con l’Unione Europea passerà più per la Gran Bretagna. Alcuni effetti già si sono visti, come l’uscita della Nissan dal paese: l’azienda automobilistica giapponese ha investito miliardi in Gran Bretagna, ma ora ha deciso di spostare la produzione in Giappone».
Belluno e i suoi occhiali soffriranno. E l’Italia? «Pur essendo meno esposta di Francia, Germania e Olanda, anche l’Italia – risponde il prof. Cabras – commercia con la Gran Bretagna. In particolare ci sono alcune provincie che hanno un alto livello di export che potrebbe risentirne in maniera negativa. Un recente studio di Confartigianato ha rilevato che la provincia con la più alta ripercussione negativa sarà Belluno, che in Gran Bretagna esporta prodotti legati all’occhialeria, per un valore del 3,5% rispetto al totale regionale, cui segue il comparto dei mobili di Gorizia (-2,4%) e il manifatturiero di Treviso (-2%). Non sono cifre piccole, anzi. Contrazioni di questo tipo determinano minori investimenti, perdita di forza lavoro, con ricadute sull’intero territorio. Complessivamente l’impatto sarà rilevante in tutte le province del Nord Italia e in parte del Centro».
Persone e turisti in calo. L’altro aspetto riguarderà la circolazione delle persone. «Già oggi in Gran Bretagna si entra con il passaporto e non con la carta d’identità, non avendo aderito al Patto di Schengen. Ma in futuro potrebbe essere necessario anche il visto, come quando ci si reca negli Stati Uniti. Con tutte le complicazioni che questo comporta». E qui si inserisce l’aspetto che potrebbe interessare Venezia, per quanto riguarda il turismo: «Gli ultimi dati della Thomas Cook, il più importante tour operator britannico, riferiscono come sia raddoppiata la domanda di vacanze verso paesi non europei, in particolare verso la Turchia, a scapito di Italia e Spagna».
Serena Spinazzi Lucchesi