No alla mediocrità, che si vince nutrendoci della Parola di Dio. E no al complesso del primo della classe, che si sconfigge con la santità che viene dalla preghiera. Sì, invece, al sacerdozio che è «servizio del sacrificio di Cristo e della Parola di Dio; è lo Spirito di Verità che ci strappa da noi stessi e rende le nostre vite parti vive del sacrificio di Cristo per la salvezza di ogni uomo».
Sono alcune delle riflessioni del Patriarca, proposte nell’omelia della Messa del Giovedì santo, celebrata nella basilica di San Marco dinanzi a pressoché tutti i sacerdoti del Patriarcato e ad una folta assemblea di laici.
Alla Messa del crisma, che vuole significare l’unità della Chiesa locale raccolta intorno al proprio vescovo, mons. Moraglia ha riflettuto come consuetudine sul sacerdozio e sul sacerdote, «perché essere preti è conquista quotidiana non facile, è impegno che dura tutta la vita. Non è cosa facile, ma rende felici!».
Citando George Bernanos, il Patriarca Francesco ha messo in guardia dal rischio di essere mediocri: «La mediocrità si sconfigge, nutrendoci della Parola di Dio».
E la strada per non essere mediocri è nitida: «Gesù parla di verità, intelligenza, amore; non di bonarietà o furbesca diplomazia quando si dice non dicendo oppure non si dice dicendo o, ancora, si dice confondendo».
La limpidezza dello sguardo preserva anche dal pericolo del «protagonismo di chi cerca visibilità o dal complesso del primo della classe».
«Quando sappiamo riconoscere il bene nell’altro – prosegue il Patriarca – allora c’è il vero amore, la vera umiltà, le condizioni per costruire non una virtuale ma una concreta pastorale di comunione; allora si dà spazio al confratello, non ci si ferma più a dibattiti un po’ inconcludenti su questioni ecclesiastiche».
La limpidezza di sguardo, che sa andare oltre l’io, conduce alla verità su se stessi: «Il nostro grazie a Dio per il sacerdozio si fa ancora più grande quando guardiamo ai nostri limiti. Ci capita infatti d’incontrare, nelle nostre comunità, uomini e donne – papà e mamme – ma anche dei giovani che esprimono una umanità migliore della nostra, forse poco loquaci nel parlare ma eloquenti nelle scelte di vita».
Ricordando poi il rinnovo delle promesse fatte nel giorno dell’ordinazione sacerdotale, che di lì a poco, al termine dell’omelia, sarebbe stato fatto da tutti i preti presenti, il Patriarca ha aggiunto: «Fra poco ci sarà chiesto se si vuole “essere fedeli dispensatori dei misteri di Dio per mezzo della santa Eucaristia e delle altre azioni liturgiche, e adempiere il ministero della parola di salvezza sull’esempio del Cristo, capo e pastore, lasciandovi guidare non da interessi umani, ma dall’amore per i vostri fratelli?”. Questa è la promessa sacerdotale fondamentale che va vissuta nella comunione ecclesiale; il resto, se c’è questo, viene spontaneamente ma, se questo manca, allora tutto è vana acrobazia che prelude ad una triste caduta».
E nella stagione attuale, in cui la società non è più unanimemente cristiana, il sacerdote dev’essere pronto anche alla testimonianza di minoranza: «L’annunzio – sottolinea mons. Moraglia – si fa con la parola, col comportamento e accettando d’esser minoranza, ossia di non contare agli occhi degli uomini. E noi preti siamo chiamati all’annuncio del Vangelo a prescindere dal risultato raggiunto, ossia accettando anche il rifiuto e, se del caso, il disprezzo. Non dimentichiamo, poi, chi ci ha preceduti sulla via dell’impopolarità e del rifiuto non venendo meno nell’impegno ad annunciare la verità anche quando si deve parlare su temi scomodi che non si vogliono nemmeno sentire enunciare. Sì, il prete è anche chiamato all’impopolarità che – è ovvio – non va ricercata ma, se necessario, va accettata; l’audience non è il criterio della verità e talvolta il Vangelo è custodito proprio da minoranze».
«Il nostro sacerdozio sappia essere fedele al sacrificio di Cristo e alla Parola di Dio», ha concluso il Patriarca Francesco: «Tutto il resto verrà come conseguenza».